Foto: disney.wikie.com
|
Ogni epoca ha un mito proprio, caratteristico, sui bambini. Si tratta di una specie di idea, di ideologia, di ideale su come vogliamo che siano i bambini. Qui ne vedremo due.
Come ogni immagine universale che si rispetti, il mito si presenta con un lato chiaro, che tutti abbiamo alla coscienza, e un lato oscuro, di cui pochi si accorgono.
Un mito molto esplicito per la mia generazione (anni ’50), ereditato dalle generazioni precedente (Secolo XIX – prima metà del Secolo XX), è stato il mito del bambino buono. Per i nostri genitori e maestri – adulti punitivi provvisti di autorità e valori - l’importante era che fossimo “buoni”, che sapessimo stare al nostro posto, che ubbidissimo, che studiassimo, che rispondessimo ai canoni rassicuranti del Cattolicesimo, che seguissimo la strada che la famiglia preparava per noi. Non c’era posto per uscire dalle regole, non c’era posto per le parolacce, per la critica al sistema religioso e al sistema di valori dell’epoca. Le donne stavano a casa, gli uomini facevano il militare. Ognuno aveva i suoi momenti di libertà e i suoi momenti di responsabilità, all’interno di una macchina che sembrava funzionare e che tacitava gli animi. In questo contesto, essere un “bambino buono” era rassicurante: c’era comunque una guida da seguire, anche se i valori perseguiti dal mondo adulto erano valori morali provenienti dall’esterno, imposti, e mancava una visione individuale. Il loro stesso valore principale e primo dovere doveva essere quello di crescere bambini obbedienti, totalmente sottomessi. Quello era il lato chiaro, manifesto, di una mitologia che elicita immediatamente, dentro di noi, il ricordo dei drammi politici del XX Secolo.