mercoledì 20 febbraio 2013

Maltrattamenti al micro-nido

di Giulia d'Ambrosio

Nei primi mesi del 2006 venni contattata da un gruppo di genitori che erano alla ricerca di un professionista che potesse accompagnarli in tribunale, attraverso un percorso che si profilava arduo e molto a rischio, senza che questo gravasse in modo importante sulle loro finanze.
Quando si accettano incarichi di consulenza di parte, all’interno di un procedimento civile o penale, sono in agguato molti rischi professionali. Per questo le tariffe di solito sono alte. Tuttavia, in questo caso mi sentii di andare incontro a questo gruppo di genitori e ai loro bambini: perché i bambini erano tutti molto piccoli, al di sotto dei 3 anni, e perché il crimine che era stato perpetrato contro di loro era odioso.



Questi piccoli sono stati i primi a salire sul palcoscenico della cronaca a causa dei pesanti maltrattamenti ricevuti al Nido. Se fossero stati i secondi o oltre, probabilmente il finale sarebbe stato diverso.


Ma furono i primi, i media se ne interessarono relativamente, e nel 2011 era addirittura ancora in discussione chi dovesse sostenere la colpa del delitto che li ha visti vittime.
È proprio a causa di questa vergogna che troverete di seguito la storia che li ha coinvolti.


Nel 2005 il Comune di X si trovò alle prese con la necessità di risolvere l’annoso problema tutto italiano dei nidi d’infanzia insufficienti. Le liste d’attesa erano lunghissime, e si pensò quindi di reperire le aule inutilizzate all’interno di strutture per l’infanzia già funzionanti, e di dotare queste piccole strutture, chiamate micronidi, del personale adeguato per la cura di bambini sotto i 3 anni. Questo progetto prevedeva lo svolgimento di un bando di concorso. I fondi, come sempre quando si tratta di scuola, erano risicati.
Diverse cooperative parteciparono al bando. A giugno venne scelta la cooperativa che aveva presentato il migliore progetto. Questa cooperativa però si trovò con la necessità di reperire in meno di tre mesi, nel corso dell’estate, un notevole numero di persone che, lavorando ai prezzi minimi che le cooperative possono riconoscere ai loro lavoratori, avessero una specifica preparazione per lavorare con bambini molto piccoli. Saggiamente, la cooperativa prescelta ritenne i tempi troppo stretti e le richieste troppo alte perché ci si potesse far fronte con serietà.
Subentrò quindi una seconda cooperativa.
Come è verosimile che accada in situazioni di questo genere, la cooperativa non ebbe tempo di raccogliere professionisti del settore, e chiamò a lavorare chi si sentiva di intraprendere una simile avventura. Tuttavia, non mancavano le persone laureate, e quindi teoricamente preparate ad affrontare questo tipo di incarico.


Va però rilevato che, finché sulla scuola vi è stata l’attenzione dovuta, diventare un’educatrice di nido d’infanzia richiedeva, oltre al corso di studio preposto, anche un tirocinio della durata di almeno sei mesi, nel corso del quale era indispensabile non solo che l’educatrice in training imparasse ad avere dimestichezza con i bambini molto piccoli, ma anche che tarasse la sua “tenuta” rispetto a un lavoro che richiede delicatezza, attenzione, collaborazione e moltissima pazienza.


I bambini del micronido di via C. ebbero la fortuna di avere dalla loro due giovani laureate, una in Psicologia e una in Scienze del Servizio sociale, di 23 e 29 anni (il loro nome, identico, viene indicato con S.). Ma se da un punto di vista della competenza teorica le due ragazze avrebbero potuto funzionare, la messa in gioco delle loro emozioni di fronte a un esiguo gruppo (12) di piccolissimi è stata un evento fatale: per loro e per i bambini.


Di chi la colpa?


Delle ragazze, incapaci di chiedere aiuto quando si sono sentite sopraffare dalla difficoltà del lavoro, quando si sono sentite diventare delle belve di fronte alle richieste di bambini che, per l’età che avevano, imparavano solo allora a mangiare più o meno da soli, a confrontarsi con degli estranei e dei coetanei, a giocare insieme, a mettere i denti, ad avere fame o sete o bisogno di coccole piuttosto che di essere cambiati, senza avere ancora le parole per dirlo …


Della cooperativa, che presa da una necessità di sopravvivenza, non ha immaginato che degli operatori improvvisati, di cui avrebbero dovuto prendersi la responsabilità oggettiva, potessero avere delle difficoltà?


Del Comune di X, che dopo tanti anni di attesa ha cercato di raffazzonare un intervento a metà prezzo per esaurire le liste d’attesa, senza dare a tale progetto i contenuti di importanza e di cura che meritava?


Ditelo voi. Vox populi, vox dei.