Se la decisione è quella di sospendere le cure e aiutare la persona a morire con dignità, questo significa comunque continuare a somministrare tutti i presidi atti a lenire il dolore, che quasi sempre accompagna certi percorsi di fine vita. Sospendere le terapie e non entrare nella fase di accanimento terapeutico non significa perciò abbandonare la persona malata a se stessa, ma provvedere in modo efficace alla cura delle sofferenze finali.
In altre parole, non si rincorrono singoli piccoli risultati parziali a scapito del bene globale del malato. L’uso di medicinali come la morfina (sempre usata al minimo delle dosi terapeutiche efficaci) può accorciare la vita della persona, ma l’atteggiamento etico deve essere quello di rendere meno pesante possibile il percorso degli ultimi giorni, non quello di allungare il numero degli ultimi giorni. Sempre di ultimi giorni si tratta, e non rispettarli significa non saper riconoscere la finitudine della vita umana.
La Carta degli operatori sanitari del Pontificio Consiglio della Pastorale, che nega l’eutanasia, sottolinea il diritto a morire con dignità umana (oltre che cristiana). Curarsi dell’altro e accettarne il completamento del ciclo di vita significa rispettare il senso degli eventi naturali e il senso della storia della persona che si trova in una fase di passaggio così delicata e così importante: c’è radicale differenza tra il dare la morte e consentire il morire.
Nell’attuale progetto di legge, in discussione al Senato, l'alimentazione e l'idratazione artificiali potranno essere sospese in casi eccezionali, quando il paziente in stato terminale non sia più in grado di assimilarle e quando le medesime risultino non più efficaci. La legge non è rivolta solo ai pazienti in stato vegetativo, ma anche appunto ai malati terminali. Tuttavia le direttive assumeranno valore solo nel momento in cui ci sarà accertata assenza di attività cerebrale integrativa cortico-sottocorticale, ossia nel momento in cui le funzioni superiori saranno interrotte, come pure interrotto il loro collegamento con le zone più arcaiche del cervello, cioè quelle che regolano per esempio la temperatura, la respirazione e il battito cardiaco.
Come riportato da Maurizio Benato, Vicepresidente della Fnomceo, “le cure proporzionali rappresentano oggi la risposta concreta all’eutanasia”. Punto strategico fondamentale sono quindi l’etica e la cultura dell’accompagnamento, formate da una medicina a bassa componente tecnologica e ad alta componente di relazione, di vicinanza, di dialogo, molto più raffinati, attenti e sensibili. Serve più tempo per l’ascolto della persona malata, ed è un tempo che deve essere trovato, quando non cercato attivamente dal medico stesso. Per avviarsi in questa direzione, un cardine fondamentale è lo sviluppo dei temi etici nel percorso formativo: gli studenti dovrebbero essere messi pienamente a confronto con i limiti della vita e con i limiti – non teorici, non astratti – delle loro reazioni di fronte a questi momenti. È importante non ideologizzare il problema, ma farne un atto vissuto.