Che i videogame non facciano bene né ai ragazzi né – tantomeno – ai bambini era un dato già sospettabile. Adesso è un dato scientifico: i giochetti di guerra e di sangue, di morti e di spari esplosivi fanno male, a prescindere dallo status sociale, dal Paese di nascita e dal modello culturale. I videogames rendono più aggressivi perché vengono modificate le prassi cognitive e affettive.
Dal punto di vista cognitivo, il cervello processa le immagini e i sentimenti di violenza come se si trattasse di un insegnamento, e questo a prescindere dal controllo che i genitori possono attuare o dal livello di aggressività temperamentale del bambino stesso.
Dal punto di vista affettivo, ossia emozionale, vengono coinvolte aree cerebrali sottocorticali filogeneticamente molto antiche. Queste aree cerebrali (in particolare l’ippocampo e l’amigdala) sono deputate al controllo delle emozioni e dell’aggressività e risentono della visione e interazione con la violenza nello stesso modo con cui si modificano di fronte a una esperienza di shock, ed è possibile – esattamente come nel trauma – che le modificazioni cellulari e biochimiche abbiamo effetti a lungo termine. Questo significa che i segnali in entrata e le reazioni in uscita non sono sotto il controllo della corteccia cerebrale, e quindi del pensiero, ma avvengono automaticamente per la mancata regolazione delle strutture superiori su quelle inferiori, con sviluppo graduale di atteggiamenti ostili, come rabbia e scarsa empatia, non differente da ciò che succede nel mondo animale.
I videogiochi violenti influenzano le azioni della vita reale tramite l’effetto disinibitorio di cui sopra e l’emergere di un desiderio di emulazione delle azioni, apprese con la concentrazione mentale sullo schermo. I bambini sotto i 12 anni risultano anche più sensibili a tali effetti. Esempi saliti alla cronaca sono il caso dei due ragazzini di Detroit che hanno ucciso e bruciato un coetaneo per imitare Manhunt2, o la strage in un centro commerciale di Omaha avvenuta per mano di uno studente fanatico del videogioco militare CounterStrike.
Craig Anderson, direttore del Centro per lo Studio della Violenza nella Iowa State University, afferma:
“Oltre il 90% dei videogiochi classificati E10+, cioè adatti a ragazzi oltre i 10 anni, contengono scene di violenza, spesso raffigurata come giustificata, divertente e senza conseguenze. Ma immagini e suoni violenti possono produrre appiattimento emozionale e accentuazione di comportamenti aggressivi, che non se ne vanno se si spegne la consolle”.
Una scena del film "Elephant" di Gus Van Sant |
Il passatempo migliore e anche formativo per i bambini e i ragazzi è lo sport, l’attività fisica regolare, le passeggiate nel verde a piedi o in bicicletta, il movimento come principio di vita. L’attività fisica regolare riprogramma il benessere interiore e il rapporto con il mondo e, se presenti, riduce l’aggressività, migliora l’ansia e l’autocontrollo. Come controprova, una ricerca più allargata del Dipartimento di Pediatria del Georgia Prevention Institute di Augusta rende noto che c’è uno stretto legame tra sedentarietà, obesità infantile e comportamenti violenti.
Fonti:
Doctor33.it, 28 marzo 2014
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